LA LAGUNA VENETA
23-24 maggio 2004
Maggio è il mese che si dedica anche alla potatura delle siepi. Migliaia di foglie e ramaglie che vengono recise per rendere la pianta ornamentale più elegante.
Berretto blu, jeans, camicia a quadrettoni e cesoia era tutto intento nell’opera di potatura del Lauro che percorre il perimetro del cortile di casa, eseguiva dei tagli secchi e decisi, prestando attenzione a mantenere una linea diritta e priva di sbavature perché la siepe deve essere perfettamente squadrata. All’improvviso la sua attenzione viene distolta dall’opera in corso e si dirige verso la strada, su qualche cosa che a lui appare strano e inverosimile. C’è incredulità, stupore e ammirazione. Osserva con espressione interrogativa e di incomprensione ciò che gli appare innanzi, che gli viene incontro e che non ha mai visto prima.
Avanza silenziosamente e ad andatura lenta e costante, ha delle sacche nere e gonfie appese ai fianchi, un sacco a pelo e tappetino fissati dietro, e un borsellino davanti ed altre stramberie, tuta attillata e variopinta e casco grigio argentato. Mai viste tante cose appese ad una bicicletta in un colpo solo! E neppure mai visto uno girare in bicicletta conciato così! Da dove arriva e dove andrà mai? Boh!
Ci chiamiamo cicloturisti!
Giriamo per le città ed i paesi in sella ad una bicicletta con poche ed indispensabili cose, una cartina stradale, vestiario, bevande e cibo, sacco a pelo e tenda, macchina fotografica. Ma nel farlo ci mettiamo qualche cosa di unico come l’anima, la voglia di libertà, lo spirito di avventura, la curiosità, il desiderio di scoprire e conoscere luoghi persone e cose nuove, il piacere di poter osservare tutto ciò che ci circonda. Il gusto di poter assaporare e godere degli spazi aperti e liberi, di una strada sterrata di campagna, di un ruscello, di un soffio di vento, di profumi e colori e paesaggi, di farfalle o coccinelle, come di opere d’arte, arazzi, sculture, statue, cattedrali, musei, monumenti, come di parchi naturali o luoghi rimasti allo stato brado, selvaggio. Possiamo arrivare ovunque senza limiti né confini viaggiando liberi di decidere dove e quando andare, semplicemente in sella ad una bicicletta.
L’idea e la voglio c’era già da qualche tempo, ma mancava sempre l’occasione giusta. E quel sabato pomeriggio, uggioso e freddo, mi era nuovamente balenata in testa.
Avevo ascoltato le previsioni del tempo che indicavano belle giornate a partire dalla domenica e per tutta la settimana. Per di più ero in ferie proprio quella settimana. E allora perché pensarci ancora? Ho preparato le borse, la tenda, il sacco a pelo e quanto serviva e caricati sulla bici, pronto per la partenza per il giorno dopo!
Sentivo il bisogno di uscire, di evadere, di scappare da una situazione e pensieri negativi, di staccare per qualche momento la spina e mi si era presentata l’occasione, il tempo e la voglia non mancavano e avevo l’idea: la Laguna Veneta.
Ore 8:30. Domenica mattina. Il cielo è ancora coperto da qualche nuvola un po’ minacciosa che però si sta allontanando lasciando il posto ad un timido Sole, fa piuttosto freddo. Mamma n’approfitta per dissuadermi dal compiere il viaggio. Fatica sprecata.
Occhiali da Sole casco e via verso la piccola avventura. Direzione sud, verso il mare: Eraclea. Le strade della Provincia di Pordenone le conosco come percorso traffico distanze (perché già percorse e anche osservate spesso sulla cartina stradale), quelle del Veneziano sono sconosciute e posso affidarmi solo alla cartina per il percorso e all’intuito per il traffico e difficoltà correlate.
Azzano Decomo, Chions, Pravisdomini sono poco trafficate e si può pedalare con una certa tranquillità e serenità, ma sempre occhi aperti. Attiro parzialmente l’interesse e la curiosità di passanti che danno una piccola occhiata, ma poi tornano alle loro faccende. Ma è proprio nelle vicinanze di Pravisdomini che ricevo l’attenzione e l’ammirazione di quel signore che pota la siepe e che interrompe il suo lavoro per quasi un minuto e si ferma ad osservarmi andargli incontro. E quando finalmente ci incrociamo mi da il saluto e un cenno di stima.
Dopo aver fiancheggiato per alcuni tratti il percorso della Livenza e del suo argine, sono a San Stino di Livenza. Dal centro voglio imboccare nuovamente la strada che costeggia il fiume fino all’altezza di Torre di Mosto ma perdo l’orientamento e mi ritrovo sulla statale per Caorle. Dopo alcuni chilometri faccio una sosta ad un bar per un panino al salame e una birra (uno spuntino leggero ed energico adatto a chi fa lunghi percorsi e sport) e chiedere che mi indichino una strada meno trafficata e caotica. A seguir le loro indicazioni arrivavo a Carole via autostrada (e notare che non c’è l’autostrada per Carole). Vado a naso ed istinto, ad un certo punto giro a destra. Ah, che pace e tranquillità, niente più macchine né moto; solo abeti ai lati, un fosso (dentro il quale non ci entro) e io. Da Torre di Mosto mi dirigo verso Eraclea, giunto a Ponte di Crepaldo imbocco una strada che fiancheggia un canale percorrendola per alcuni chilometri. Mi lascio alle spalle il traffico e mi godo pienamente quel tratto che mi porta a Torre di Fino, un paesino nelle prossimità di Eraclea Mare. Noto in una barca ormeggiata nel canale due signori intenti nelle loro faccende e ne approfitto per chiedere quanto distante sia il mare e se conoscono un locale dove poter pranzare a prezzo politico. Detto fatto, il locale lo avevo appena superato (e non mi ero fermato perché l’istinto mi diceva tira dritto che qui son furbi). Mi fido della dritta e mi accomodo nei tavoli all’aperto. Sin da subito la signora che serve i tavoli si distingue per professionalità e cordialità. Passo svelto e militaresco da SS, espressione sicura e determinata come un agente della Ghestapo, voce perentoria e decisa come un generale mi impone di spostare la bici dal muro dove è appoggiata e di fare l’ordinazione in fretta perché lei non ha tempo da perdere. Un fenomeno di cordialità e gentilezza! E per quanto concerne il prezzo politico? Per essere una trattoria in un paesino di campagna, un furto!
Riprendo il viaggio, tappa successiva Jesolo e laguna. Pedalando pedalando mi ritrovo a costeggiare la riva di un fiume e il dubbio mi assale, soprattutto perché ricordo che nella cartina la strada litoranea non è indicata fiancheggiata da un corso d’acqua (che scoprirò poi in tarda serata, consultando la medesima cartina, essere il Piave). Ma proseguo e vediamo dove mi porta. Dopo circa 8 – 10 chilometri mi si materializza davanti un cartello a sfondo marrone scritta bianca – San Donà di Piave -. Altro che Jesolo e laguna, sto tornando verso l’interno. Dietro front e pedala!
Nella prima domenica di sole e caldo di maggio le strade per il mare sono a dir poco congestionate, figuriamoci poi l’unica che porta nella località balneare! Traffico sorpassi frenesia e smog e smog e ancora smog fino e Cavallino, oramai laguna inoltrata.
A Cà di Valle mi fermo presso un camping pensando alla notte, il prezzo è allettante. Si, per loro però! Chiedo quanto manca per Punta Sabbioni dove conosco un agriturismo e mi dicono circa 8 chilometri. Ne risulta che anche il senso delle distanze è molto spiccato e sviluppato, sbagliano di almeno 3 chilometri!
Poco più aventi, in località Cà Ballarin, mi fermo ad una stazione di servizio per farmi indicare eventuali alternative all’agriturismo già di mia conoscenza (dato che anche lì per servizio e cortesia sono dei fenomeni) e il benzinaio è un marocchino che mi indirizza al titolare che a sua volta mi indirizza al meccanico, il quale delude tutte le mie aspettative.
Esco dal centro e dal traffico cercando la strada che costeggia la laguna (cartelli indicanti le direzioni per le località sono un optional) e mi ritrovo davanti la processione con parroco e chierichetti in testa. Dopo essergli stato per qualche metro alle calcagna trovo una via di fuga e…… finalmente la laguna. E ora da che parte? Il cielo inizia a coprirsi di nuvole e farsi minaccioso e si alza il vento. C’è un piccolo spiraglio, due signore anziane all’uscita di un cortile che chiacchierano: chiedo a loro. “Te ve par de ah, sempre drito ne a destra ne a sinistra te segui a strada, sempre drito sempre drito. Ma vara che a se longa fin la via, te varà diese chiometri!”. Sono in viaggio dalla mattina, che saranno poi “diese Chiometri”!!!!
Un incanto, mare grigio argentato con sfumature blu e verdi, le nuvole che si specchiano e pochi raggi di Sole che filtrano e si riflettono. Le baracche in legno dei pescatori, piccole barche ormeggiate e sullo sfondo la costa, il fruscio del vento e del mare e poi il silenzio. Uno scenario che si sussegue per alcuni chilometri.
Punta Sabbioni, eccoci qua. Non c’è il cartello ma la riconosco (c’ero stato poco tempo prima) e arrivo fino all’imbarco dei traghetti per Venezia e Lido. Da li posso cercare di ricordare la strada per raggiungere l’agriturismo dove penso di pernottare. Trovarla la strada! La locanda è in mezzo ai campi! Si fa, si fa!
Chiedo in giro ma mi mandano fuori pista. Faccio a modo mio aguzzo la memoria, vado a naso e istinto ed eccomi arrivato.
Come la prima volta, anche stavolta non si smentiscono. Arrivi e dei titolari non c’è anima viva! “C’è qualcuno? Oohoo, c’è qualcuno?”. Ma…… avranno posto?
Dopo circa un quarto d’ora di affannosa ricerca nella quale ho incrociato una tedesca appena uscita dalla doccia, dei francesi che si godono un po’ di relax sotto il gazebo, due (all’apparenza) pacifici cani un po’ gelosi del loro cortile che mi mostrano i denti appena accenno a dirigermi verso la rimessa degli attrezzi agricoli, finalmente arriva la proprietaria.
Affare fatto! Camera singola con bagno in comune (lo stesso da cui è uscita la tedesca) e colazione 25 €. Altro che camping! Se trascuriamo il fatto che i gestori sono bifolchi e che il posto presenta un po’ di squallore e che la camera è alla stregua di un ripostiglio attigua alla sala da pranzo e al bar e che la tapparella è rotta, per il resto (chissà poi cos’altro resta?) è un affarone. E poi è avventura!
Una volta in camera ed espletate le operazioni di routine del viaggiatore, ecco immancabile (e comunque prevedibile) la sorpresa del giorno: ustioni da esposizione solare su braccia e gambe, mi son fatto guanti e giarrettiere! Ero sprovvisto di crema e bisognava correre ai ripari. Soluzione? Un giro al supermercato e chiedere consiglio alle commesse!
Matura poi il desiderio di una passeggiata tranquilla sulla spiaggia, lungo il bagna-asciuga, ascoltando il fruscio delle onde, respirare il profumo del mare, sentire la brezza sulla pelle del viso, la sabbia soffice sotto i piedi, osservare le onde e i colori dell’acqua, le conchiglie, entrare in piena armonia con quel contesto naturale e lasciarsi trasportare dalle sensazioni.
L’orario e perfetto, quasi le 20, la spiaggia è naturale e priva di insediamenti turistici ed è a neppure 500 metri. Bella ampia e senza ombrelloni a deturpare lo sfondo del mare con la riva ricca di conchiglie e…… un malefico freddissimo e forte vento che spinge da est e rende acerbo il sapore del piccolo e atteso desiderio. Taglio la corda come un ladro in fuga e mi preoccupo della cena naturalmente fai da te con servizio in camera, perché la precedente esperienza culinaria del ristorante-albergo ad una stalla ha insegnato molto! Però dopo cena il caffè è irrinunciabile, è un’istituzione. E almeno quello lo sapranno fare? Mentre me lo prepara la titolare mi chiede: “C’è per caso un motoraduno da qualche parte?”. A me lo vieni a chiedere, che mi hai visto arrivare con una tuta e un casco in sella ad una bicicletta carca di borse?
Al mattino seguente alle 7 sono in piedi e preparo armi e bagagli per proseguire il viaggio, colazione sempre in camera e fai da te conclusa in sala ristorante con quel poco che fan loro e in compagnia della comitiva di francesi in vacanza per allenarsi con il kaiac (e non solo sotto il gazebo).
Memore del “furto” subito per un precedente pernottamento più cena, penso di pareggiare i conti squagliandomela, visto che:
1. non mi hanno chiesto documenti di identità e di conseguenza non hanno effettuato alcuna registrazione:
2. quando potrebbero accorgersi che me la sono squagliata potrei essere già abbastanza lontano;
3. i titolari non si vedono mai in giro perché occupati da altre faccende.
E’ un’idea stuzzicante ma che tramonta perché manca il carattere e il dubbio e la preoccupazione di farsi beccare logorano. Ma poi riaffiora e si vuole provare il brivido del rischio e quindi raggiunta la giusta convinzione, con fare sornione, supero il corridoio esco in cortile do un’occhiata veloce per controllare se c’è qualcuno e……
“Buongiorno, hai già fatto colazione?”, “Si, grazie, ma gradirei anche un caffè espresso!”. Pago il conto e parto. E dicono che il buongiorno si vede dal mattino!
Sono all’isola del Lido di Venezia, giunto con un traghetto. È la spiaggia dei veneziani e luogo di villeggiatura per chi ha un certo buon tenore di vita. È un’isola verde e accogliente con un centro carino che presenta alcuni palazzi storici e il Casinò frontemare ed è citata anche perché ospita la mostra del cinema.
Sceso dal traghetto mi dirigo ad est e incontro subito qualche difficoltà nell’individuare la strada per raggiungere il luogo di mio interesse, seguo una strada sterrata che a tratti si inoltra in una fitta vegetazione e dopo circa un chilometro prosegue in un prato totalmente privo di alberi per poi immettersi nel molo che va a formare la bocca di porto, l’ingresso per il porto di Venezia. Si presenta circondato in entrambi i lati da scogli e la sua lunghezza lo fa percepire infinito all’occhio. Inizio a percorrerlo, c’è un po’ di vento contro. Il mare è abbastanza calmo e di un blu intenso e profondo. Poco più avanti incontro dei pescatori che si sono posizionati distanti gli uni dagli altri, hanno ciascuno 4-6 canne da pesca fissate sugli scogli. Noto il particolare che le canne sono disposte tutte su un unico lato del molo, il sinistro, quello che costituisce l’ingresso al porto, mentre nell’altro lato che da sulla spiaggia nessuno pesca. Incuriosito chiedo lumi e per tutta risposta:
“Parchè se el pese!”.
“Eh ma, di la c’è pur mare?”.
“Eh ma de qua se mare verto el pese vien de qua, de ah se mare serado, se ato spiaggia, el pese vien più tardi!”
Capio tuto!
“E questi numeri scritti sugli scogli?”.
“Parchè a domenega i fa e gare de pesca!”
Capita l’antifona che sto solo disturbando proseguo la pedalata tra pescatori, passeggiatori o chi prende sole. Il molo termina con il faro posto su una base circolare circondata da merletti in cemento alti e lunghi circa 2 metri larghi 1 metro, tutto attorno sono collocate delle campane di cemento unite ad un’estremità le une con le altre in modo da creare una forma simile ai chiodi a più punte. Incastonate tra loro, insieme ai merletti, costituiscono una barriera a protezione del faro contro le mareggiate. Attacco discorso con un signore anziano, che si rivela molto più aperto e disponibile del pescatore, il quale mi rivela che quelle campane vengono chiamate “montasù” e che sono state poste lì insieme agli scogli che fiancheggiano il molo da poco tempo. Mi racconta anche che molo e faro sono luogo di ritrovo per le compagnie, per pescatori, per passeggiatori, per lettori ed altro. Che la lunghezza effettiva del molo, escludendo la parte interrata da un lato quindi quello effettivamente bagnato dal mare in ambo i lati, è di 2,5 chilometri circa, altrimenti la complessiva è di 3,5 chilometri circa. Segue qualche altra chiacchiera e poi ci salutiamo.
Riprendo l’escursione e mi dirigo verso il molo di imbarco situato esattamente dalla parte opposta dell’isola, superato il centro la strada prosegue fiancheggiando la costa nel lato della laguna e si può osservare sullo sfondo Venezia.
Mi imbarco sul ferry-boat tra camion macchine autobus furgoni. La traversata è breve, talmente breve da non riuscire a compensare neppure il 10 per cento del costo del biglietto. Giunti all’isola neppure abbassato il portellone per scendere che vengono accesi i motori dei mezzi e così grazie a quei volponi si solleva una nube di smog che neppure il petrolchimico di Marghera a fine giornata riesce a creare.
L’isola si presenta con un lungo tratto di strada che percorre una zona naturale, priva di insediamenti urbani, sul cui lato sinistro che da sul mare aperto s’impone un terrapieno che funge da argine dell’altezza di circa 4 metri che percorre per intero l’isola ed oltre il quale vi è la spiaggia. Nel tratto urbanizzato l’argine è rafforzato o addirittura sostituito con delle mura in pietra.
L’isola di Pellestrina come il Lido è di forma allungata e stretta con una lunghezza approssimativa di circa 12-15 chilometri (misura presa ad occhio non a metro!) e presenta sul lato della laguna vari piccoli centri o borghi. L’insediamento abitato di più grandi dimensioni è Pellestrina il cui centro storico e stato conservato con le sue caratteristiche. Visto l’orario e le lamentele del signor stomaco ho preferito dedicarmi alla visita al ristorante con terrazza sul mare piuttosto che della cittadina. Naturalmente pesce!
Una volta soddisfatto il signor stomaco è arrivata l’ora della traghettata per Chioggia. Erano le 4 del pomeriggio quando sono sbarcato e il tempo a disposizione era insufficiente per una visita accurata della città (ottima scusa per tornare). Ciò che subito si nota scesi dal traghetto è una colonna con il leone di San Marco proprio come quella posta in piazza San Marco a Venezia, ma di dimensioni più piccole. Ho percorso la via principale ed ho potuto notare la forte somiglianza a Venezia, pare proprio una piccola Venezia.
Devo tornarci!
L’ultimo atto del viaggio è stato intraprendere la via del ritorno verso casa. Imboccato la Statale Romea ho attraversato gli ultimi incantevoli e suggestivi scorci di laguna accompagnato da qualche centinaio di tir e camion. Come si può constatare da questo scritto, neppure i giganti della strada sono riusciti a stendermi,
E’ stata anche questa una particolare, speciale e piacevolissima esperienza attraverso la quale ho conosciuto un’altra piccola parte della nostra bella Italia, al di fuori degli schemi e canoni comuni proposti da agenzie di viaggio o dai vincoli imposti dall’automobile (e comunque le agenzie come l’automobile mai ti porterebbero in simili luoghi, i piccoli e reconditi ed incantevoli angoli come questi sono per pochi curiosi amanti della vera bellezza, originalità e semplicità, non per i comuni mortali clonati). Luoghi e località che solo attraverso la mia curiosità e passione per le due ruote ho portato visitare. Ed ho potuto ulteriormente apprezzare, godere e gustare appieno il senso di libertà, indipendenza, autonomia, tranquillità e pace che una semplice bicicletta può offrire. Libertà di scegliere il proprio percorso, i tempi, i momenti, le mete. Libertà anche di non decidere nulla e lasciarsi trasportare senza pensare a dove si arriverà. Sulla bicicletta come nella vita.
Claudio Quattrin