La
cosa più strana di cenare al buio non é il buio: sono le voci.
Improvvisamente, quando tutto si fa nero, é come se scattasse dentro i commensali l’istinto di alzare di quattro o cinque tacche il volume del proprio chiacchierare.
Una forma di difesa? Una reazione alla paura che naturalmente monta all’azzerarsi di ogni forma di luce? Non lo so.
è comunque un’esperienza che tutti dovremmo provare almeno una volta nella vita, quella della “cena al buio”, e io e la mia ragazza ci siamo stati, all’azienda agricola Ai Magredi di Michelangelo Tombacco di Domanins: una serata speciale a scopo benefico organizzata dalla sezione territoriale di Pordenone dell’Unione italiana ciechi e ipovedenti e dalla sezione provinciale dell’Agenzia internazionale prevenzione della cecità.
Come camerieri la banda dei “Tutti al buio”, cioé volontari rigorosamente non vedenti: Christian Toffolo, Tullio Frau, Giorgio Piccinin, Felicita Nicoletti e Rita Pellegrinuzzi.Lo scopo dell’esperienza é stato naturalmente quello di vedere con i propri occhi – é proprio il caso di dirlo -, per un paio d’ore, quello che le persone non vedenti provano tutti i giorni della propria vita: ed é stata effettivamente un’avventura estraniante, con la percezione degli spazi e delle distanze totalmente sballata e le grandi difficoltà a compiere gesti anche minimi come versarsi un po’ d’acqua nel bicchiere o portare il cibo alla bocca con la forchetta (infatti, lo confesso: un po’ del risotto, dopo una decina di tentativi esasperati, l’ho mangiato con le mani).
Sono state due ore che hanno aiutato chi c’era a curare meglio la dimensione dell’empatia, in questi tempi un po’ bui così trascurata: quante volte facciamo una fatica bestia a metterci nei panni degli altri, specialmente se questi altri vivono una condizione più difficile della nostra? Infatti l’idea é talmente bella che andrebbe riportata anche in altre situazioni: dovremmo provare tutti, per esempio, a salire su una sedia a rotelle e lottare per un giorno contro le barriere architettoniche nelle nostre città o saggiare cosa significhi vivere qualche ora da non udenti, e molto altro ancora.
è un modo per conoscere più a fondo gli altri, ma anche se stessi, le proprie debolezze, le proprie paure, la propria forza.
Enrico Galiano