Spesso le invenzioni più importanti sono frutto o di un bisogno o di un’intuizione, magari banale. Il Braille probabilmente è un insieme di entrambe le cose ed il suo inventore è stato tanto geniale quanto rivoluzionario, permettendo ad una categoria di persone, alla loro storia futura, di uscire dall’oblio sociale. Il Ministro dell’Istruzione Fedeli, in occasione della giornata del Braille 2017, ha qualificato il Braille come “Alfabeto della libertà, dell’uguaglianza, dell’inclusione”: in una parola, è la porta verso la conoscenza, l’affrancamento e l’ emancipazione, uno strumento che, col tempo, ha contribuito non poco a far uscire il cieco dalla condizione di assistito passivo, permettendogli di diventare soggetto in grado di scegliere, di affacciarsi alla cultura.
Ma oggi il Braille che ruolo può avere nelle moderne forme di comunicazione, nell’impero dei social e nell’uso indiscriminato della rete?
Partendo dal presupposto inequivocabile che tale strumento è, e deve restare, per la sua storia e per ciò che rappresenta, imprescindibile e insostituibile, dovrebbe essere maggiormente interfacciato con la modernità che ci circonda.
Se vogliamo che il Braille abbia un riscontro presso le nuove generazioni di studenti ed educatori, dobbiamo renderlo più “popolare”, meno oneroso, ma più presente nelle applicazioni e negli ausili. Ad esempio, sarebbe opportuno ampliare lo spettro delle etichettature in rilievo sui prodotti alimentari, parafarmaceutici o nei detersivi.
Recentemente, inoltre, si è fatto un gran parlare di una stampante braille 3D, ancora sperimentale, che potrebbe segnare l’inizio di una nuova epoca, rendendo la scrittura più facilmente riproducibile e maggiormente appetibile al portafoglio. Se, con tecnologie analoghe o con l’utilizzo di “Arduino”, si riuscisse a produrre piccoli display o celle braille da adattare in altrettanti dispositivi di uso comune, anche il problema dell’accessibilità si rivelerebbe meno ostico. La tecnologia infatti corre e non aspetta; riuscire a stare al passo è un’impresa titanica.
Resta però l’aspetto didattico e psicologico delle persone. Significativi sono gli episodi di quanti, ad esempio, snobbano il Braille e tendono a farne a meno, non rendendosi conto del danno culturale e di metodo che arrecano a se stessi e alla storia. In tale senso, ci vorrebbe un diverso approccio pedagogico da parte di insegnanti di sostegno ed educatori, spesso formati in maniera approssimativa e non specifica.
Se da loro non parte un convinto assenso all’utilizzo del Braille, non possiamo pretendere di riservargli un posto nel futuro della comunicazione per la nostra categoria.
Non è sufficiente, infatti, sostituirlo, o pretendere di farlo, con soli input vocali. La voce, se da un lato è meno dispendiosa, più pratica, trasportabile in ogni dove grazie a piccoli dispositivi sempre più capienti, dall’altro è meno formativa nella costruzione delle parole e nella correttezza grammaticale; può ammaliare o sedurre con false certezze, che rischiano di trasformarsi successivamente in clamorosi refusi cronici, trattandosi di una forma di lettura indiretta.
Il Braille cartaceo o elettronico è più fisico, più vero e naturale. Oggi, con gli strumenti che abbiamo a disposizione, è più che mai necessario relazionarci con il mondo e non limitarci ad un dialogo tra simili, come accadeva fino all’avvento di internet e delle sue multiformi applicazioni.
Si potrebbero altresì studiare degli incentivi di natura ludica, nuovi ed adeguati ai tempi, per permettere che il Braille possa diventare familiare precocemente per i bambini, con giusti e calibrati approcci tiflodidattici. Non bisogna dimenticare che sviluppare la conoscenza del Braille significa soprattutto favorire l’aspetto aptico, la capacità di esplorazione e di riconoscimento manuale, elementi sui quali ha da sempre puntato la tiflologia, ma che rischiano di disperdersi. Il Braille, infatti, favorisce la coordinazione manuale-sensoriale, soprattutto nei primi anni di apprendimento scolastico.
La trasmissione del Braille dev’essere costantemente motivata e stimolata poiché costituisce una forma di apprendimento alternativa al colpo d’occhio e a tutti quegli aspetti che da esso derivano.
Pierre Villey, tiflologo francese vissuto a cavallo tra ‘800 e ‘900, amava dire che «Il Braille è la rivolta del tatto contro il dominio prepotente dell’occhio”. Se questo era vero in tempi lontani e non sospetti, figuriamoci oggi!
Avere una certa dimestichezza con questo sistema significa mettere lo studente, qualora ne abbia i requisiti, nelle condizioni di scalare un suo percorso di formazione, utilizzando del Braille l’elaborazione che gli è più congeniale, in base all’obbiettivo prefissato: dal semplice punteruolo con tavoletta, alla dattilobraille, alla stampante con pc, l’allievo riesce ad ottimizzare le sue elaborazioni.
Combattere quella sorta di ostilità e diffidenza nei confronti del Braille, considerato spesso anche dalle famiglie come emarginante e obsoleto, benché consenta alle persone cieche di sottrarsi all’analfabetismo strumentale e di accedere alla cultura, all’istruzione ed all’informazione, deve rappresentare un impegno collettivo e non formale, se consideriamo la sua enorme duttilità e competitività.
Tuttavia, le difficoltà di utilizzare in scala più ampia il sistema Braille dipendono da alcuni fattori che, onestamente, bisogna riconoscere:
• il Braille è poco amichevole nelle comunicazioni tra non vedente e vedente, tra lo studente e i suoi compagni o l’insegnante.
• la documentazione in Braille non consente un aggiornamento con la medesima tempestività, rispetto alla stampa normale
• le dinamiche Scolastiche spesso non garantiscono continuità di rapporto interpersonale tra insegnante e bambino, vuoi per continui avvicendamenti di personale docente, vuoi per lacune strutturali dovute alla specificità dei bisogni.
Un problema rimane il Braille nell’età avanzata, quando, alle difficoltà di un riadattamento personale e sociale, si aggiunge la fatica di allenare una sensibilità ed una manualità, rendendola sufficientemente disinvolta. Mani che per una vita ad esempio hanno svolto lavori pesanti o grossolani, mal si prestano a modalità di approccio più armoniche e delicate, quali quelle richieste dalla lettura di un testo Braille.
Mi si consenta, senza essere accusato di retorica populista, di sostenere come la sopravvenuta sfiducia nel Braille da parte delle nuove generazioni sia imputabile, oltre ai fattori citati in precedenza, anche alla chiusura delle scuole speciali che, pur favorendo l’inclusione degli studenti nelle strutture pubbliche, didatticamente però non hanno più potuto trasmettere la conoscenza, l’esercizio e la mentalità Braille, sia tra i ciechi assoluti sia tra gli ipovedenti loro ospiti. Questo, oggi, a mio avviso, si ripercuote in tutta una serie di fattori che vanno anche oltre questo specifico tema e che lambiscono problematiche riguardanti l’autonomia e la responsabilità individuale.
L’auspicio è che la moderna figura dello Skilled tiflology Educator possa sopperire a tutto questo, altrimenti, si aprirebbe una via senza ritorno, quella dell’analfabetismo e di una potenziale incapacità relazionale.
Non troverei fuori luogo, infine, la realizzazione di un docufilm, che possa contenere un messaggio celebrativo, informativo per la gente comune e propedeutico per i potenziali interessati.